Il mondo di Giulia Boccafogli

Il mondo di Giulia Boccafogli, jewelry designer.

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Incontrare Giulia Boccafogli è stato come ritrovare una vecchia amica d’infanzia, quella compagna di scorribande con la quale condividevi mille avventure e sogni, fantasticavi nella tua cameretta, quando dicevi “Da grande io sarò…” e poi all’improvviso sei grande e ti chiedi dove è andata quella bambina e quanto sei stata fedele a te stessa.

Tutti ci portiamo dentro la nostra storia e a volte si tratta solo di tuffarsi in acque più profonde e riportare in superficie tesori nascosti in fondo al mare.

Giulia Boccafogli, designer di bijoux, ci racconta il suo mondo e il suo percorso, come il riaffiorare di qualcosa che c’è sempre stato, riportato a nuova vita: così anche nella scelta della location per il nostro servizio fotografico, abbiamo privilegiato questo aspetto, cercando un luogo speciale, rinato in una “Forma Seconda”.

Da architetto a designer di gioielli alla fine non è poi così strano e abbiamo precedenti illustri nella moda, basta pensare al grande Ferré: mentre Giulia mi parlava di come i suoi studi le abbiano dato la giusta struttura per esprimere la sua fantasia, mi sono venute più volte in mente le simili considerazioni del grande stilista, ma anche una bellissima frase che Italo Calvino pronunciò in un’intervista in televisione:

“La fantasia è come la marmellata, la devi spalmare sopra una fetta di pane. Altrimenti rimarrà una cosa senza forma dalla quale non si ricaverà niente”

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“E’ stato un atto di coraggio, un vero e proprio tuffo a livello creativo, il far emergere a poco a poco nel mio percorso di vita, una cosa che ho sempre avuto dentro. Fin da piccola ho manifestato una forte espressione creativa: mi piaceva molto disegnare e scrivere. Ricordo che a sei anni, alle elementari, creavo il braccialetto dell’amicizia per le mie compagne, intrecciando fili di cotone  fermati con una spilla da balia, sotto il banco mentre il maestro spiegava. Non ero distratta, ascoltavo e “lavoravo” nello stesso tempo. Già lì ho imparato ad essere multitasking!”

Ognuno nella vita deve trovare il proprio talento, intendo cioè scoprire una cosa che ti riesce bene e ti fa sentire realizzata, poi non è che per forza devi essere un genio, ma l’importante è fare quello che desideri, impegnandoti al massimo. In fondo il mio è stato un percorso abbastanza lineare: sono ancora quella che ero. Ho sempre avuto un’immaginazione molto fervida: avevo un amico immaginario, scrivevo testi per recite che poi proponevo a scuola…Crescendo c’è stata la necessità di razionalizzare, per cercare di contenere questa immaginazione un po’ debordante. Dico subito che sono stata fortunata, perché la mia famiglia mi ha sempre permesso di coltivare questa parte di me. Ho frequentato le Scuole elementari Longhena, ai piedi di San Luca, che sono immerse in un grande parco: giocavo in un mondo magico tutto da esplorare, a primavera tra i ciliegi in fiore e in inverno  tra i prati innevati…Sono stati gli anni più felici della mia vita”

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“Mi è sempre piaciuto leggere e scrivere, adoravo le materie letterarie e alle superiori ho scelto il Liceo Classico Galvani: purtroppo però non c’erano materie pratiche, cosa che mi mancava molto, quindi la domenica andavo da un amico di famiglia, lo scultore Nicola Zamboni, a fare disegno dal vivo. Oltre che una predisposizione naturale avevo un vero bisogno “fisico” e anche se ho sempre fatto molto da autodidatta, mi serviva un maestro per affinare la tecnica. La tecnica ti dà la libertà, ti dà gli strumenti per essere veramente libera. Io andavo a lezione di disegno proprio per imparare le tecniche, per avere gli strumenti giusti per tradurre in pratica quello che ho nella testa. E anche per imparare ad osservare

“Ho frequentato la Facoltà di Architettura all’Università di Firenze: ho sempre pensato di voler fare qualcosa di creativo, che fosse nello stesso tempo pratico e utile. Architettura è una facoltà bellissima e se tornassi indietro farei la stessa scelta. E’ stata fondamentale per l’aspetto progettuale. Ti aiuta a capire il senso del progetto, a razionalizzare, a mettere ordine, a saper lavorare sodo da solo ma anche in gruppo, e con grande dedizione. L’architettura è dedizione. Per me è stata una formazione importantissima, perché in realtà sono una “tragedia” di donna: caotica, disordinata, confusionaria…Se entri in cameri mia, vedi il delirio: scarpe buttate qua e là, vestiti ammassati, libri accatastati ovunque…Nonostante tutta la mia buona volontà, non riesco proprio. Solo in cucina sono ordinatissima: ecco, nella creatività sono molto ordinata”.

“Infatti una delle mie passioni più grandi è la cucina: sono una buona forchetta e amo cucinare. Mi piace inventare e sperimentare, non seguo molto le ricette, tranne quelle tradizionali, come il nostro famoso ragù alla bolognese, che mi viene benissimo, ma qui gioco in casa. Il mio piatto top è decisamente a base di pesce: uno dei miei must sono le seppie in umido, ma sono diventata brava anche nel fare il sushi, con ricette assolutamente originali, grazie ad una mia amica che vive in Giappone”

Ogni mia passione, ha avuto un grande “alimentatore”: mia nonna Lomba. Una figura quasi mitica. Nata nel 1914, aveva questo nome esotico, che in realtà è un nome di un fiume africano, che scorre in Angola. La motivazione si perde avvolta nel mistero, come tutte le cose che hanno origini molto lontane, tra ricordi, memorie, suggestioni e leggende…Si racconta che il mio bisnonno, in Africa quando l’Italia era in espansione coloniale, scrisse una lunga lettera a sua moglie nella quale raccontava di aver visto questo paesaggio bellissimo, nei pressi del fiume Lomba, e avrebbe desiderato dare questo nome a sua figlia.

Dall’Africa poi non tornò mai più e così come suo padre, anche mia nonna è sempre stata un’entità misteriosa, priva di età, in quanto non la rivelava assolutamente a nessuno, me compresa: era una sarta di alta moda, realizzava cappotti, abiti da sera. Sono cresciuta insieme a lei che cuciva e tagliava. Ricordo nel suo atelier una scatola dei Pampers con dentro pezze, stracci, ritagli: io andavo lì a rovistare e mi mettevo in testa vecchi collant che mi trasformavano in coniglio, un coniglio di nome Scutti. Era una donna tosta, dalla forte personalità ma nello stesso tempo di una dolcezza infinita: comunista e credente, all’avanguardia, aveva le idee ben chiare. Non si lasciava circuire da nessuno”.

“Sono figlia unica e credo di aver succhiato da tutte le persone della mia famiglia: da mio padre, che definisco un ingegnere un po’ anomalo, ho preso il carattere, mentre mia madre è un punto di riferimento costante e mi ha insegnato i valori della vita”

“Tutto è iniziato concretamente nel 2004/2005: mentre studiavo all’Università ho aperto un blog (giulielleria.blogspot.it), quando ancora ne esistevano pochi e il fenomeno non era così diffuso, in cui mostravo i miei lavori, realizzati da autodidatta, senza seguire corsi o tutorial e, a poco a poco, ho iniziato ad avere un certo seguito e a vendere i primi pezzi. Dopo la laurea, ho iniziato a lavorare come architetto nell’edilizia a livello professionale e, parallelamente, ho reso più professionale anche la mia attività di designer di bijoux, per trasmettere anche maggiore serietà e affidabilità ai clienti. Nel 2008 sono stata selezionata per partecipare alla Seconda Edizione dell’Area Designer Club al Macef Milano: non avevo ancora alcuna esperienza concreta da questo punto di vista e questa partecipazione mi ha formato molto e mi ha insegnato come muovermi, in quanto mi ha catapultata nella realtà commerciale”

“Sentivo il bisogno di differenziarmi in qualche modo, per affermare il mio stile personale. Ho iniziato utilizzando materiali alternativi, come linoleum, gomme per i pavimenti o sfridi di rame nella linea Essenza. Usavo anche pietre dure e cristalli, accostavo materiali tradizionali a materiali industriali. All’inizio ero più eclettica, mi piaceva sperimentare, perché in realtà ero ancora alla ricerca della mia strada”

“Cercando un materiale confortevole per poter rivestire il retro dei medaglioni in linoleum, ho iniziato a lavorare con la pelle, prima con piccoli quantitativi e poi gradualmente mi sono innamorata sempre di più di questo materiale. Ho concentrato la produzione sulla forma, sulla struttura, ponendomi un limite dal punto di vista materico. La pelle è diventata la protagonista assoluta delle mie collezioni. Nel gioiello contemporaneo per il designer è molto importante specializzarsi in un materiale, sia dal punto di vista commerciale che professionale, per andare oltre l’hobby”

“La prima collezione in pelle è stata Wawes: un pezzo di pelle si piegava come un’Onda morbida che riesci a plasmare. Il primo pezzo era Maki, da un lavoro su cartamodello che ti dava la possibilità di avere un bracciale senza chiusure metalliche, pulito ed essenziale. Sono legatissima a questo accessorio.

Questi sono stati tutti momenti molto importanti nel mio percorso, poi ad un certo punto è arrivata la svolta decisiva nel 2010/2011. Ho ricevuto una proposta di collaborazione dalla Coin: all’inizio di ogni stagione, il Gruppo sceglieva un tema – nel mio caso Urban Lyfe – e inseriva nuove proposte nei temporary shop di alcuni punti vendita, per rinnovare la proposta, attraverso emergenti, e per testare un nuovo prodotto. Ho avuto un corner a me dedicato in sette punti vendita in Italia: un lavoro mastodontico, sia nella  produzione (circa 500 pezzi unici) ma anche nell’allestimento, in quanto ho deciso di progettare e montare gli espositori. E’ stata un’opportunità fantastica e di grande visibilità, che mi ha permesso di misurarmi con la grande distribuzione, ma ho dovuto per forza mettere in stand-by l’attività di architetto”

“In seguito sono andata sei mesi a vivere negli Stati Uniti a San Francisco, dove ho frequentato un corso di oreficeria base e mi sono immersa in un’approfondita ricerca stilistica. E’ nata la collezione Flux, che vuol dire flusso ma anche mutamento: la pelle incontra il metallo mutandosi in nuove forme, ma anche la mia vita era in mutamento, in una fase di evoluzione, in a state of flux. Questa linea era ispirata ai gioielli dei nativi americani ed è uscita su Vogue Italia e Marie Claire: un’emozione fortissima!”

“Sono stati mesi fondamentali per la mia maturazione professionale e personale: quando sono tornata in Italia ho avuto il coraggio e la determinazione di intraprendere definitivamente e complementamente la mia strada”

Le due collezioni del “ritorno” sono state Forma Seconda e Bodega Bay.

“Forma Seconda nasce come ispirazione da una mostra sul corpetto che avevo visitato al Lacis Museum, una sorta di mega merceria e museo di merletti e pizzi vittoriani: erano esposti magnifici abiti d’epoca originali. Un ornamento tipico era lo jabot e ho pensato subito: perché non prendere un ornamento così classico, staccarlo dal contesto e, realizzandolo in un materiale diverso, riproporlo in modo contemporaneo? I primi disegni e i primi prototipi sono nati a Berkeley, poi qui in Italia ho sviluppato il progetto, scegliendo il colore nero, perché elegante ma anche perché volevo togliere e non aggiungere altro. Dal punto di vista tecnico e della lavorazione, Forma Seconda è basata sul drappeggio e come materiale utilizzo pellami vintage recuperati, offrendo alla pelle una seconda possibilità di rivivere.

E offrendo a me una sorta di seconda possibilità nella vita!

Bodega Bay è una piccola cittadina di mare in California: così si chiama  la mia ultima collezione, che sto ancora sviluppando e ampliando. Un ricordo personale, ma anche il posto dove Hitchcock ha girato il film “Gli Uccelli”. L’ispirazione è nata proprio dal piumaggio degli uccelli, in particolare i rapaci, con una visione anche abbastanza dark e decadente: per la collana Grifo ad esempio ho pensato al collo del grifone, oppure per Crow, alle piume del corvo. In questa linea lavoro molto sulle sfrangiature.

Ho sempre avuto bisogno di razionalizzare, di imbrigliare l’immaginazione con la forma, la struttura, il progetto. Il mio è un lavoro di artigianat, inventiva e creatività, ma non mi definisco artista. Non mi ci sento per niente”

“Questa è davvero la mia strada, è ciò che sento e ho trovato il coraggio e la determinazione di seguirla fino in fondo: sono molto costante e non ho paura di faticare. La mia è una realtà molto intima e personale. La cosa più importante per me è il rispetto per il mio lavoro e la mia persona”

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Foto di Francesco Trombetti
Styling di Maria de Los Angeles Monari
Giulia in Lavinia Turra AI 2013/14 e indossa il collier Phoenix di Vittorio Ceccoli
Location: Chimica Zero Hair & Body SPA di Bologna

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Servizio fotografico completo di questa intervista:

GIULIA BOCCAFOGLI IN GALLERIA

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