La Divina Marchesa: arte e vita di Luisa Casati

La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli anni folli a Venezia.

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La Divina Marchesa: così la chiamò D’Annunzio, che ebbe innumerevoli amanti come è noto, ma tra tutte, lei fu quella che lo ammaliò davvero in modo sconvolgente e che egli stimò veramente, citandola in numerose opere.

Grazie al suo fascino inimitabile e alle sue follie, divenne la Musa dei più grandi artisti dell’epoca: pittori, scultori, fotografi la immortalarono, da Alberto Martini, Augustus Edwin John, Giacomo Balla, Giovanni Boldini, Umberto Boccioni, Kees van Dongen, il barone Adolph de Meyer, Cecil Beaton ma anche Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Jacob Epstein e Man Ray.

Dark lady decadente ma anche musa di surrealisti, fauvisti, dadaisti e futuristi: uno stretto connubio di mito e storia, vita e arte.

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Venezia, che fu una delle città da lei più amate, ne rievoca la figura e il mito attraverso la prima ricchissima e caleidoscopica esposizione dedicata a Luisa Casati: la donna che a inizio Novecento, con un trucco esagerato, le trasgressive ed eccentriche performance e una vita sopra le righe, fu capace di trasformare se stessa in opera d’arte, leggenda vivente, conturbante e sorprendente rappresentazione di modernità e avanguardia.

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Oltre un centinaio tra dipinti, sculture, gioielli, abiti, fotografie di grandi artisti del tempo, provenienti da musei e collezioni internazionali, sono stati riuniti in quella che fu la casa-atelier di Mariano Fortuny che con le sue ricercate sete e i famosi Delphos vestì – insieme a Paul Poiret, Ertè e Léon Bakst – i sogni e le follie della Casati, ma la Marchesa non fu solo bizzarra ed eccessiva (dai pitoni veri al collo al nude look), spettacolare e trasformista, megalomane e narcisista: il percorso espositivo e gli studi fino ad ora inediti, pubblicati nel catalogo della mostra, le restituiscono una dimensione più consapevolmente “artistica”, rintracciando la sua attività di collezionista e restituendo alle sue azioni e ai suoi mascheramenti una dimensione estetica che la rende un’antesignana dell’arte performativa e della body art.

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In pochi anni Luisa trasformò il suo volto nell’icona della belle dame sans merci: disegnato da profonde ombre nere, con le pupille dilatate e rese lucenti dalla belladonna, le labbra dipinte di rosso scarlatto, i capelli tinti di rosso acceso. Dilapidò la sua immensa fortuna in travestimenti mozzafiato e in feste spettacolari di cui fu ideatrice e principale interprete, in case allestite come musei e nell’acquisto di opere d’arte, terminando la sua esistenza a Londra nel 1957 nella più triste indigenza, dopo anni di sperperi che la ridurranno sul lastrico, come ci mostrano gli scatti “rubati” nel periodo londinese da Cecil Beaton – autore anche del ritratto di Marisa Berenson nelle vesti della Casati, realizzato nel 1971 e prestato dalla National Gallery of Portrait di Londra – appare una donna ormai segnata dal tempo e dalle difficoltà, ma sempre artefice consapevole del proprio eterno immaginario.

Straordinaria è appunto la collezione di lavori e ritratti, che le furono dedicati o che lei stessa commissionò, che in mostra rievocano di volta in volta una delle tre “dimensioni” – performer, icona della donna vamp e strega – riconosciutele da Robert de Montesquieunei suoi sonetti. È datato 1912 il ritratto della Casati che giunge dal Centre Pompidou firmato da Léon Bakst, il costumista dei Ballets russes, che da quello stesso anno creò per la marchesa scenografici abiti per le feste più mondane.

Una passione per i mascheramenti che ritroviamo nel ritratto con piume di pavone di Boldini del 1911- 1913 (Roma, Gnam) e nelle due opere realizzate a grandezza naturale da Alberto Martini, provenienti da collezione francese. Le opere provenienti da collezioni inglesi e francesi di Alastair – il barone esteta amico di d’Annunzio – raccontano perfettamente la dimensione di donna fatale, identificando la Casati con le immagini degli “idoli di perversità” allora di moda, da Messalina a Salomè, elaborati tra il 1914 e 1919.

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L’aspetto più “gotico” della marchesa, la sua ossessione per l’occulto e le pratiche magiche, emerge con forza nella mostra: nel suo delicatissimo “doppio” in cera del 1908, eccezionale prestito del Vittoriale degli Italiani; nel ritratto di Romaine Brooks del 1920, di collezione privata francese, in cui la Casati compare come un notturno pipistrello; in quello da sabba di Ignacio Zuloaga (1923) proveniente da Zumaia e nel dipinto di Beltrán Masses del ‘29 dalla Fondazione Suñol di Barcellona, dove Luisa appare come una Eva felice di avvolgersi tra le spire del diabolico serpente.

La sua chioma fiammeggiante – quale autentica Musa – furoreggia nel dipinto del ‘19 di Augustus Edwin John prestato dall’Art Gallery di Toronto; Epstein nel busto di bronzo del ’18 la ritrae con capelli da Medusa; Paolo Troubetzkoy la consegna ai posteri in un gesso del 1910-15 e in un più tardo bronzo con uno dei suoi levrieri.

“Occhi lenti di giaguaro che digerisce al sole la gabbia d’acciaio divorata”

disse di lei Filippo Tommaso Marinetti nella dedica che fece inserire da Carrà nel proprio ritratto da donare alla Casati nel 1915: bellissimo dipinto, presentato nel ‘12 alla prima mostra futurista, che segna appunto una tappa importante dell’avvicinamento ai futuristi, di cui la stupefacente signora – chiusa la relazione con d’Annunzio intorno al 1913 – divenne sostenitrice, collezionista, mentore. I mascheramenti festaioli diventavano ora un “unico costume esistenziale, una messinscena quotidiana creativa e moderna”: dalla Farfalla crepuscolare di Martini, la Casati si trasforma in “una chimera moderna e futurista”.

Inoltre la foto scattata da Man Ray nella quale gli occhi della Casati sfocano e diventano sei, per un errore nello sviluppo della pellicola, colpì molto la nobildonna: questa foto, che il pubblico potrà vedere a Venezia, fece il giro dell’Europa e divenne un’icona surrealista, contribuendo ad alimentare un mito che non cesserà neppure dopo la morte.

Un sogno che non si spegne, che ancora arde e ispira tantissimi artisti, attori, stilisti: pensiamo alla serie realizzata da T.J. Wilcox nel 2008, alle interpretazioni di Georgina Chapman e Tilda Swinton negli scatti di Peter Lindbergh e di Paolo Roversi, ai grandi artisti d’oggi chiamati a confrontarsi con il mito della Casati, come Anne-Karin Furunes, Filippo di Sambuy, Marco Agostinelli e Francesco Vezzoli che hanno realizzato nuove opere per l’occasione, e infine alle memorabili collezioni a lei dedicate da John Galliano per Dior e da Karl Lagerfeld per Chanel.

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La Divina Marchesa – Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli anni folli
Ideata da Daniela Ferretti, curata da Fabio Benzi e Gioia Mori e coprodotta dalla Fondazione Musei Civici di Venezia e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore
4 Ottobre 2014 – 8 Marzo 2015
Palazzo Fortuny
San Marco 3958 San Beneto
Venezia

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Abito: Mariano Fortuny y Madrazo, Abito Delphos, 1920 circa. Taffetas di seta plissé e perline vitree; taffetas di seta stampato. Venezia, Archivio Museo Fortuny Opera a destra: Man Ray, La marchesa Casati, 1922,Intervento di Luisa Casati del 17 dicembre 1923.Gardone Riviera, FondazioneIl Vittoriale degli Italiani © Man Ray Trust by SIAE 2014 Opera di copertina: Anne-Karin Furunes, Crystal Images/Marchesa Casati, 1912-2014, 2014.Courtesy Galleria Traghetto-Venezia .

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