Mommy, una fiaba contemporanea di Xavier Dolan

Arriva finalmente nelle sale italiane il 4 Dicembre 2014, Mommy, quinto film del giovane talento canadese Xavier Dolan, giustamente considerato un enfant prodige a tutti gli effetti: il ragazzo ha solo 25 anni, è ritenuto praticamente geniale.

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Quest’anno al Festival di Cannes “Mommy” ha vinto il Premio della Giuria a pari merito con il mito Jean-Luc Godard; inoltre il film in questione è in corsa, candidato del Canada per il Premio Oscar come Miglior Film Straniero… Tanto per fare il punto della situazione.

La storia di Mommy è definita come “una fiaba sfavillante, di coraggio, amore e amicizia”: un’esuberante giovane vedova si vede costretta a prendere in custodia a tempo pieno suo figlio un turbolento quindicenne affetto dalla sindrome da deficit di attenzione. Sin dalla morte di suo padre infatti, Steve ha girato l’intero circuito dei centri specializzati per i ragazzi con problemi comportamentali; viene riaffidato alla madre proprio perché troppo problematico da gestire.

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Mentre i due cercano di far quadrare i conti, scontrandosi e discutendo, Kyla, un’insegnante di liceo che si è presa un anno sabbatico ed è appena arrivata in città, offre loro il suo aiuto, ma alla fine anche lei sarà cambiata da questo rapporto. Assieme, troveranno un nuovo equilibrio, e tornerà la speranza.

Ad interpretare la madre Die, una donna combattiva ma anche sensuale e comica nello stesso tempo, l’attrice Anne Dorval, già presente in due dei film  precedenti del regista – “J’ai tué ma mère” (2009) e “Les Amours imaginaires” (2010) – così come Suzane Clément, che interpreta Kyla. Anche se la figura materna resta comunque centrale nel  primo e nel suo ultimo lavoro, Dolan afferma che tra i due film ci sono delle linee parallele, ma solo in superficie, in quanto essi trattano di due mondi differenti, tramite due angolazioni diverse, quindi in realtà sono opposti:

uno si dispiega attraverso gli occhi di uno stravagante adolescente, l’altro contempla le difficoltà di una madre, il primo ruotando intorno ad una crisi della pubertà e il secondo ad una crisi esistenziale.

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Di sicuro comunque le dinamiche del rapporto madre-figlio sono oggetto di forte interesse e di indagine da parte del giovane regista, che così riesce ad esplorare nuove prospettive in genere da lui molto amato, il family movie.

Ricordiamo che  proprio “J’ai tué ma mère” è stato il suo primo film, di ispirazione autobiografica, scritto a 16 anni e girato e interpretato a 19 anni: venne selezionato a Cannes 2009 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, vincendo ben tre premi. Anzi specifichiamo che Xavier Dolan a Cannes ormai è di casa per averci portato già  ben quattro film. Di sicuro promette molto, molto bene.

Sin dal mio primo film, ho parlato molto dell’amore. Ho parlato dell’adolescenza, dei rapimenti e della transessualità. Ho parlato di Jackson Pollock e degli anni ‘90, di alienazione e omofobia. Dei college e del termine spiccatamente franco-canadese, “speciale”, della cristallizzazione di Stendhal e della Sindrome di Stoccolma. Ho usato un linguaggio sciocco e anche triviale. Ho parlato in inglese, di tanto in tanto, e troppe volte ho anche detto delle vere e proprie scemenze. Perché è questo il rischio che si corre quando si “parla” delle cose: ossia, il fatto che ci sia sempre il rischio, inevitabile, di dire delle scemenze.

E’ il motivo per il quale ho deciso di rimanere nel campo delle cose che conosco, o di ciò che è nelle mie corde, per così dire. Delle tematiche che ritenevo di conoscere a fondo, o per lo meno a sufficienza, perché fanno parte di me o del quartiere nel quale sono cresciuto. O perché sapevo quanto vasta fosse la mia paura degli altri, e quanto lo sia ancora. Perché conoscevo le bugie che raccontiamo a noi stessi quando viviamo in segreto, o l’inutile amore che caparbiamente offriamo ai ladri del tempo. Sono queste le cose alle quali mi sento sufficientemente vicino per poterne parlare.

Ma se c’è un tema, anche solo uno che conosco meglio di qualsiasi altro, uno che m’ispira incondizionatamente, e che amo sopra a tutti gli altri, è certamente mia madre. E quando dico mia madre, intendo LA madre in senso lato, la figura che rappresenta…La madre è ciò da cui deriviamo, è chi siamo, e chi siamo diventati. Non siamo mai davvero in pace con queste questioni Freudiane, sono una parte indelebile di noi stessi.

“Mommy” è un’opera molto particolare anche per la scelta del formato 1:1. Dolan aveva girato in precedenza un videoclip e aveva trovato l’idea interessante anche per un lungo, in quanto il quadrato crea sincerità, rendendo uno spazio ristretto centrato sul personaggio e incorniciando perfettamente i volti in maniera semplice ma efficace ed emozionante. In questo si è trovato assolutamente d’accordo con il suo Direttore della fotografia André Turpin, che sognava da tempo di poterlo utilizzare, aspettando l’occasione giusta.

Dal punto di vista visivo inoltre la fotografia tende ad evitare la solita retorica della depressione: i tramonti e i crepuscoli, durante i quali molte delle sequenze hanno luogo, dovevano illuminare con dei rossi e dei gialli, e la luce intensa del giorno doveva addirittura accecare con i suoi bagliori allegri. Questo speciale incrocio sta già nell’ideazione di “Mommy” sentito come un film forse interiormente dark ma esteriormente luminoso e caldo.

“Perciò, immergere “Mommy” in una sorta di prevedibile nebbia grigia e umida, ci sembrava un mero automatismo. Sognavo un luogo gioioso per Die e Steve dove vivere, un luogo dove tutto era possibile. Ricordo di aver giurato a me stesso che avrei fatto di tutto affinché i miei personaggi apparissero e parlassero come la gente vera del quartiere dove sono cresciuto. Affinché non risultassero come delle caricature ma fossero, invece, davvero realistici.”

Questo è il suo primo film che ha avuto una distribuzione italiana, tramite Good Films: definito un capolavoro, grande successo di critica e di pubblico, non vediamo l’ora di vederlo.

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