The Dressmaker, quando serve stoffa!

Un viaggio attraverso gli abiti di The Dressmaker: la moda anni ’50 è la grande protagonista di un fashion western glamour e sfavillante, delizia per gli occhi e davvero tanta bellezza da mozzare il fiato.

Per la gioia di tutte le fashioniste, che con questo film gongoleranno in stato di pura estasi, torna in sala la mitica Kate Winslet nei panni di Tilly Dunnage, talentuosa stilista e sarta che, dopo anni trascorsi in diversi atelier di alta moda tra Parigi, Londra e Milano, rientra in Australia per stare accanto all’eccentrica mamma Molly e non solo… tra desideri di vendetta, segreti e colpi di scena, trasformerà inevitabilmente le donne di un piccolo paese ostile e ottuso, armata di ago, filo e grande esperienza. 

Un’avventura straordinaria, un viaggio attraverso gli abiti” 

(Marion Boyce, costumista)

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Siamo nei primi anni Cinquanta quando Tilly Dunnage (interpretata dall’attrice Premio Oscar KATE WINSLET), affascinante e talentuosa stilista, dopo aver lavorato per i più grandi atelier parigini di haute couture, decide di far ritorno a Dungatar, un piccolo paesino nel sud est dell’Australia. Dopo quasi 20 anni di assenza Tilly, che – ancora bambina – ha dovuto abbandonare la città natale in seguito a un tragico evento, torna per stare accanto all’eccentrica madre, Molly (JUDY DAVIS) e affrontare così un passato scomodo e doloroso.

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Il ritorno di Tilly in città fa vacillare il già labile equilibrio dei suoi abitanti, scontrosi, piuttosto chiusi e sospettosi: la donna viene vista come una minaccia,  una pericolosa minaccia che si veste di strane ed esotiche stoffe , giunte dalla Francia a bordo di cassapanche cariche di tessuti speciali. Il sergente Farrat è il primo a notare con quanta grazia e passione Tilly dia vita alle proprie creazioni, fatte di seta e fili pregiati: infatti è lui a giocare il ruolo di interfaccia tra Tilly e gli altri abitanti del paese, che la credono colpevole di una tragedia non ancora dimenticata, motivo del suo “esilio” in Francia. Tilly sente di essere stata ingiustamente accusata, ma non ha un chiaro ricordo di quanto accaduto.

Gli abitanti di Dungatar, attratti dalle sue incredibili abilità sartoriali, la aiuteranno più o meno consapevolmente a ricostruire il mosaico della verità, tessera dopo tessera.

Gli abiti meravigliosi che Tilly sa creare diventano così un’arma contro i suoi detrattori. Ma la vendetta si paga a caro prezzo. La posta in gioco si fa alta quando Evan Pettyman (SHANE BOURNE), che nutre nei confronti di Tilly e Molly un odio viscerale, assume Una Pleasance (SACHA HORLER), una stilista di Melbourne, perché metta in difficoltà Tilly e decreti la fine della sua carriera. In questo percorso, tuttavia, Tilly impara anche ad aprire il cuore e a dispetto di ogni idea precostituita si innamora del più grande giocatore di football del luogo, Teddy McSwiney (LIAM HEMSWORTH). In una spietata competizione a colpi di ago e filo, la trasformazione degli abitanti di Dungatar passa dai loro piccoli e grandi difetti, rivelando quanto siano aridi e vuoti i loro cuori.

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Il film è tratto da “The Dressmaker”, primo romanzo di Rosalie Ham, che per la figura della grintosa ed elegantissima Tilly si è ispirata a sua madre:

<<Mia madre faceva la sarta a Jerilderie. Era divorziata, e questo all’epoca aveva sollevato un piccolo polverone. Da figlia, notavo la differenza tra lei e le altre donne. Volevano tutte i vestiti che cuciva lei. Tilly torna a Dungatar con un netto senso di inferiorità, ma con una bellezza e un’abilità sartoriale che la rendono superiore a qualsiasi altra donna: ecco, era questo che volevo esprimere>> 

La moda è decisamente il filo conduttore di una trama avvincente, in cui la linea narrativa segue la trasformazione che, attraverso gli abiti, Tilly è in grado di imprimere alle donne della città, mettendo in atto una sottile vendetta contro chi le ha fatto del male. La regista, Jocelyn Moorhouse, afferma:

<<Un mio amico stilista una volta mi ha detto che gli abiti sono un’arma. Sono d’accordo. Mi piace molto l’idea che una donna riesca a realizzare la propria volontà disegnando abiti straordinari, capaci di trasformare chi li indossa, e che gli abiti in sé siano delle armi contro gli altri>>

In THE DRESSMAKER – Il diavolo è tornato” gli abiti sono fondamentali e anzi co-protagonisti a tutti gli effetti. Se l’importanza dei costumi è innegabile in ogni film, qui i costumi costituiscono quasi la gnoseologia della storia. Rosalie Ham aveva in mente determinati abiti quando ha scritto il romanzo:

<<Gli abiti sono come un travestimento, coprono il corpo… Io volevo esplorare proprio questo aspetto, come un abito nasconde o enfatizza i difetti – vanità e gelosia incluse – ecco, è partito tutto da lì>>

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Hugo Weaving, nei panni del sergente Farrat, afferma: “Il tono di questo film è cosa molto complicata. L’atmosfera doveva essere concreta, ma al tempo stesso sfiorare l’irrealtà. Alcuni personaggi potrebbero essere reali, altri invece sono volutamente esagerati. I costumi riflettono la loro personalità.” 

Kate Winslet commenta: “Tilly si è formata in Francia, con Balenciaga, Dior e Vionnet. Gli abitanti di Dungatar non capiscono quanto siano magiche e meravigliose le sue creazioni. I suoi abiti sono dei doni e, al tempo stesso, hanno il sapore della vendetta. Da pallide e monotone quali sono all’inizio, le donne di Dungatar alle fine sembrano pronte per il red carpet. È molto bello.” 

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Gli anni ’50, nel dopoguerra, sono stati caratterizzati da due movimenti opposti nel campo della moda. Da una parte Christian Dior, con il “new look” dal 1947 in poi, propone l’immagine di una donna strizzata in corsetti e stringivita d’antan. Dall’altra, Vionnet e Balenciaga usano tessuti caldi e pregiati per avvolgere il corpo, mettere in risalto i pregi e camuffare i piccolo difetti. In questo momento gli stilisti francesi iniziarono a influenzare la moda popolare e la cultura giovanile, approfittando della maggiore disponibilità di tessuti e di materie prime.

Jocelyn Moorhouse spiega: “Negli anni ’50, la moda era un’esperienza molto emozionante. Fino ad allora si era respirata un’atmosfera di restrizione e di sacrificio, data dall’austerità degli anni della Guerra. Poi è arrivato Dior, e niente è stato più come prima, quindi è stata la volta di Balenciaga. Stilisti che hanno cambiato l’immagine stessa della donna, creando non solo abiti, ma vere e proprie opere d’arte. Ci siamo ispirati al lavoro degli stilisti europei più conosciuti dell’epoca, per esser certi che gli abiti che Tilly crea per le donne di Dungatar siano in linea con l’anima del tempo, e antesignani del fashion più contemporaneo. Gli abiti di Tilly devono essere chic ed eleganti, non troppo sofisticati o eccentrici. Gli stilisti tendono generalmente a vestire i propri clienti in modo più eccentrico, e a tenere per sé gli abiti più composti, lineari ed eleganti 

Per un costumista cinematografico, “THE DRESSMAKER – Il diavolo è tornato”è una sfida incredibile, anche e soprattutto per la definizione della palette cromatica che deve far risaltare gli attori sullo sfondo di scene corali: MARION BOYCE, conosciuta per lo straordinario lavoro televisivo sul set della serie Miss Fisher – Delitti e misteri”, ha concepito oltre 350 costumi per tutto il cast tranne che per Tilly.

Gli abiti di Tilly sono stati disegnati da MARGOT WILSON, costume designer australiana di grande talento.

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Quando la Moorhouse ha parlato con le costumiste della palette di colori da utilizzare, hanno concordato che all’inizio del film, come tanti altri paesini della campagna Australiana del tempo, anche Dungatar era un paese rimasto un po’ indietro. Gli abitanti indossano ancora gli abiti tipici degli anni ’30 e ’40. Tilly porta a Dungatar uno stile contemporaneo e una sensibilità tutta europea. I suoi abiti dovranno quindi essere caratterizzati da tinte vivaci – rosso scuro, giallo ocra, verde smeraldo. La forza di questi colori deve spiccare sulla palette pallida e obsoleta dei colori dominanti a Dungatar. Inoltre i nuovi colori e i nuovi volumi risaltano ancora di più grazie alla scelta di scenografie (di Roger Ford) volutamente poco attraenti e poco definite.

I costumi sono creazioni sfavillanti e meravigliose che trascinano con energia il film ed è molto potente il contrasto tra il deserto australiano e questi capi sofisticati e seducenti. Ad esempio il personaggio di Gertrude Pratt ((SARAH SNOOK) è proprio trainato da questo movimento incredibile. Jocelyn spiega: “Gertrude Pratt indossa gli abiti più belli. Tilly la fa diventare un vero pigmalione. Gertrude inizia in modo molto soft, anzi addirittura sembra che indossi un sacco di iuta all’inizio del film. È lei che prega Tilly di aiutarla a cambiare, e la trasformazione è radicale. Tilly la trasforma in una dea.” 

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Tilly stessa indossa degli abiti meravigliosi e ricercati. I dettagli, anche se spesso sfuggono alle telecamere, e tra questi anche la biancheria vintage, sono cruciali. Alcuni costumi vengono da collezioni private internazionali. Marion Boyce commenta: “Il numero dei costumi è spaventoso. C’era di che sentirsi sotto pressione! Alla fine, però, ho deciso di cominciare, di fare, e di godermi l’avventura.”. Marion ha studiato in dettaglio le cose che gli stilisti e i sarti del tempo usavano fare. Non solo uno studio sulle silhouette, ma anche sulle forme, sulle trasformazioni, sulle convenzioni sociali dell’epoca. 

<<I primi anni ‘50 sono stati un periodo molto particolare ed eccitante. Il divertimento passava anche dai costumi. Costumi liberi e disinvolti che ti fanno venire voglia di ballare>>

Sono pochi i film in cui i costumi vengono usati in modo così simbolico e strumentale. Gli abiti di Tilly, in particolare, devono rappresentare la sua passione per la moda. È stata fondamentale un’accurata attività di ricerca. A ogni ispirazione ho aggiunto un tocco ‘tipico’ di Tilly. Da questo punto di vista, Kate è l’ideale, ha un corpo perfetto per la moda degli anni ’50. Creare i suoi abiti è stato come realizzare un grande sogno”.

1- abito rosso

L’ABITO ROSSO. Una delle scene più importanti del film, appena dopo l’arrivo di Tilly a Dungatar, è il momento dell’incarnazione perfetta del suo potere creativo e della sua capacità di essere il motore narrativo del film. Gira voce, infatti, che Tilly Dunnage, presunta colpevole di una morte misteriosa, sia tornata in città, ma nessuno può dirlo con certezza.  

<<Tilly decide di mostrarsi in pubblico e di sconvolgere le loro vite>>, dice Kate Winslet, <<per questo decide di andare a una partita di football, spingendo la sedia a rotelle di Molly. Tilly indossa un abito meraviglioso, un abito rosso. All’inizio ha anche un soprabito. Ai piedi, indossa un paio di tacchi rossi. Completano il look occhiali scuri e sigaretta. Una rivelazione>>

Jocelyn Moorhouse aggiunge: “L’abito rosso doveva essere appariscente. È il suo modo per dire: ‘Sono tornata e dovete guardarmi’. Doveva essere rosso, perché quando Tilly arriva è in corso una partita di football e tutti devono fermarsi a guardarla. Tilly è come la sirena per Ulisse nell’Odissea, in cui l’eroe dice “Non guardate loro, non guardate le sirene, legatemi.” Volevamo riprodurre la stessa situazione; Tilly riesce a catalizzare su di sé tutti gli occhi”.

Anche per Margot Wilson l’abito doveva essere vistoso, ma anche fine ed elegante, senza scadere nell’ovvio o nel banale. Kate Winslet ricorda: “Margot mi ha detto: ‘Ho un tessuto comprato vent’anni fa a Milano, mi sono detta che un giorno l’avrei usato per un’occasione speciale… Non so se…”

Margot continua: “Sono andata a spulciare tra i tessuti e gli scampoli del mio archivio. Ho trovato questo, rosso, di seta, e ho capito che sarebbe stato perfetto per questo film.”

Kate ammette:

<<Che onore indossare un abito così bello! È bellissimo lavorare con una costumista come lei, disposta a sacrificare una parte tanto importante del proprio archivio, del proprio passato. È stato un privilegio portare addosso un pezzo di storia, della sua storia>>

Featurette I costumi: 

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