Lost Memories dal ROBOT 07.4°

Memorie digitali, ballando al ritmo dei Moderat.

 4.1Ø.2Ø14

Eccoci tornati. Mancano ormai gli ultimi due giorni al termine della chiusura del roBOt – la settima edizione del Festival musicale e non solo, che ha sede qui a Bologna. Il quinto giorno si sposterà al MAMbo, il Museo D’Arte Moderna di Bologna, dove sarà la volta dei bambini con la sezione roBOt kids, ma non mi vedrà presente come reporter, a causa di una forte influenza che ancora ora, mentre vi scrivo, mi attanaglia.

Ammetto che, nonostante il folto calendario di queste fine-giornate, la mia attenzione e ultimo articolo su questa manifestazione si concentrerà sul workshop a cura di Laura Sartori, professore associato al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Bologna, dal titolo “Memorie digitali” tenuta alle 16.00 (in realtà iniziata con circa 15 minuti di ritardo, ma si sa che esiste il famoso quarto d’ora accademico) di sabato 4 ottobre 2014, presso la Sala degli Atti di Palazzo Re Enzo.

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Il perché la mia attenzione sia ricaduta proprio su questa conferenza è ben presto detto: secondo me l’indagine legata alla memoria digitale investe, a pieno titolo, chi come me scrive e usufruisce del mezzo “internet” come strumento di comunicazione e divulgazione, oltre al fatto che oggi non ci si può non interrogare sulle influenze che il digitale ha sulle nostre vite quotidiane. Inoltre trovo una comunione implicita tra il titolo del workshop e quello di questa settima edizione del festival “Lost Memories”, le ultime memorie.

La curatrice Laura Sartori conduce i suoi colleghi – il sociologo Andrea Cossu, lo psicologo Giorgio Gronchi e la ricercatrice Michela Ferron- ad interrogarsi sui pressanti quesiti che coinvolgono la società moderna:

«Cosa significa oggi memoria? E memoria digitale? I dispositivi elettronici atti alla conservazione dei dati, come influenzano la nostra capacità di ricordare? Come i social media influenzano la nostra costruzione sociale? E se Wikipedia venisse spenta? Insomma quale è il futuro della nostra memoria?»

Ad iniziare a rispondere alle annose questioni Giorgio Gronchi, che come prima battuta ricorda che il computer è uno strumento che può avere una influenza più o meno positiva sull’individuo, ma sostiene anche che oggi è cambiato ciò che ricordiamo. Non è cambiato il processo con cui rammentiamo, ma i suoi contenuti. Oggi ci ricordiamo dove andare a prendere le informazioni e non gli argomenti. A breve termine, purtroppo, l’uso dei cellulari di ultima generazione sembra provocare un calo d’attenzione notevole durante, ad esempio, le conversazioni.

Interviene poi Andrea Cossu, che mette in luce come l’uso dei social media abbia modificato la “commemorazione del defunto”. Ricordando un fatto estremamente personale, la veglia del padre, il sociologo riporta alla mente come parte dei presenti fosse “impegnato” a fotografare la situazione. L’uso del digitale nella fotografia, infatti, ha portato ad una fruizione molto meno selettiva dell’uso della macchina fotografica, permettendo una immediatezza negli scatti, nel “fotoritocco” (l’uso dei filtri) e nella condivisione (es. Instagram). Anche il moderno selfie (o autoscatto, per dirlo all’italiana) ha portato ad un uso completamente nuovo di questo mezzo, poiché dà la possibilità di incorporare il “proprio io” in maniera relazionale con il momento e di conseguenza con quello che diventerà il passato.

Se consideriamo Facebook, noteremo anche che questo social viene utilizzato spesso come “muro di memoria collettiva”, una forma di rappresentazione immediata dell’emozione in maniera globale e senza gap temporale.

Sono, in sintesi, tre gli aspetti fondamentali da considerare quando si parla di memoria digitale: REGISTRAZIONE, CONSOLIDARE e ARCHIVIAZIONE. Un sistema estremamente più efficace rispetto a quando le informazioni venivano trasmesse solo per via orale, ma comunque non si può non notare come esiste un paradosso tra i dispositivi di ultima generazione, sempre più all’avanguardia, e la nostra capacità di gestirli.

Se un tempo il singolo individuo non poteva ricordare tutto (ancor oggi è così), l’interazione con gli altri poteva essere considerata come una forma di utilizzo degli individui – basti pensare ai professionisti di una determinata professione a cui ci rivolgiamo per avere consigli o ragguagli (medici, avvocati, professionisti ecc..) – come forma di “hard disk” umani esterni a noi. Oggi è internet la prima forma di strumento che consultiamo quando dobbiamo procacciarci le informazioni, spesso senza verificare l’attendibilità della fonte ed è per questo che il gruppo qui riunito ci consiglia caldamente di coltivare e di appropriarci di più mezzi atti alla ricerca di informazioni. Abbastanza scontato ricordare che le informazioni raccolte e divulgate su wikipedia, spesso, non sono controllate e quindi non attendibili al 100%.

L’era contemporanea in cui viviamo ha però generato un ulteriore problema, ovvero i “DISPOSITIVI” cioè la trasmissione dei contenuti tra memorie digitali. L’avanguardia tecnologica trova sempre nuovi sistemi di archiviazione, se consideriamo ad esempio che siamo passati: dal floppy disk, al cd rom, alla pen drive etc… ci viene spontaneo chiederci se veramente abbiamo “archiviato” in maniera definitiva le nostre informazioni. Direi che è meglio controllare di non aver lasciato qualche vecchio floppy con informazioni importanti per noi in qualche cassetto, visto che oggi i pc di nuova generazione non contemplano più il suo uso da tempo.

C’è un’ultima considerazione importante da fare, l’uso di internet nella politica. A ricordarci di questo impiego, la ricercatrice Michela Ferron, che ci riporta alla memoria come nel 2001 l’impiego di questo strumento fu un mezzo efficace per mantenere i contatti durante la rivoluzione egiziana e di come hacker di altre nazioni furono fondamentali per mantenere coeso il legame tra i ribelli, costruendo un vero e proprio supporto.

Benché il tempo e quindi la conferenza stia volgendo al termine, io non sono molto contento del dibattito intercorso tra i relatori. Odio questo momento. Il momento in cui sento e voglio porre domande e quello in cui mi si pone il “gelato” (il microfono, in gergo)…so già che la mia voce, al pari della mia mano, inizierà a tremarmi e il suono delle mie parole mi saranno proiettate e amplificate all’indietro attraverso gli altoparlanti posizionati davanti a noi spettatori.

Il mio diniego ad utilizzare il microfono non sortisce alcun risultato e gentilmente la Dottoressa Sartori mi esorta ad utilizzarlo. Ci sono, cercando di sembrare il più naturale possibile, spiego quali sono i miei dubbi, le mie perplessità e considerazioni sotto forma di domande a raffica:

In che modo le memorie digitali influenzano la nostra sfera emotiva, Il nostro impatto emotivo? Sappiamo, ad esempio, che determinate emozioni – siano esse positive che negative – influenzano la nostra capacità di ricordare o meno un determinato evento, in che modo per tanto il digitale le integra con noi o ne cambia gli aspetti?

Consideriamo poi due altri elementi che mi incuriosiscono. Il primo inerente la fase REM del sonno, ovvero quella fase in cui la nostra memoria riorganizza i ricordi ( i sogni ad esso collegati): come influenza il digitale questa fase?

Consideriamo poi un altro aspetto, secondo me troppo sottovalutato, sappiamo che l‘olfatto è uno dei nostri cinque sensi più atavico e che funge da stimolante alla nostra memoria, come è possibile dunque archiviarlo da un punto di vista “digitale”?

Purtroppo queste mie domande rimarranno con risposte parziali, poiché lo psicologo Giorgio Gronchi mi risponde che non esistono (ancora) studi a tali propositi. Sappiamo che, per quanto riguarda il sonno, leggere un libro invece che usare internet prima di coricarsi facilita un sonno migliore. Mentre sarà Andrea Cossu a ritornare al discorso inerente la “commemorazione dei defunti”, mettendo in luce che spesso le emozioni costruite con le interazioni si trasmutano in “Rito Globale”.

Ø

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Ma ci emozionano realmente?

In realtà molto spesso si tratta di cinismo, ovvero diamo agli altri l’idea che determinati eventi ci emozionino, anche io – ha affermato il sociologo – alla morte dell’attore Robin Williams postai sul social “la mia parte” (in televisione si realizzano ancora oggi i “coccodrilli”, ovvero servizi confezionati ad hoc che vengono mandati in onda alla morte di un personaggio famoso).
Ora mi chiedo come si possa considerare che le ricerche effettuate sui “picchi” di reazioni negative, di tristezza o certi atti di solidarietà tramite i social e similari, siano reali, dato il conflitto tra la psicologia cognitiva del singolo e la costruzione del sociale.

Vero che certi grandi turbamenti sociali (esempio la caduta delle torri gemelle a NY) hanno influenzato la nostra memoria, vero che abbiamo una mente che ricorda anche delle falsità, vero che tendiamo a fare le ricerche allo scopo di avere le conferme di ciò che già sappiamo ed è ancora più vero che la memoria umana è stata il “soggetto”di libri come “Una memoria prodigiosa. Viaggio tra i misteri del cervello umano di Aleksandr Lurija (ristampato nel 2002) o di film come il “Mnemonista del 2000 (che trae spunto da questo libro) o Memento anche esso del 2000 o il più recente, ancora nelle sale, Lucy” di Luc Besson, ma esiste e si deve perseguire anche il “diritto all’oblio” alla possibilità di dimenticare persone e fatti che, altrimenti, non ci renderebbero facile la vita.

Per tanto, un po’ amareggiato, me ne vado al termine della conferenza, essendo conscio che poco è veramente stato fatto su quello che è il più grande fenomeno della memoria l’UOMO che è custode, fruitore e artefice anche del digitale.

Ø
Alberto Messina

…Continua 

Padiglioni 25 e 26 di Bologna Fiera