Jeanne du Barry, l’ultima favorita di Luigi XV veste Chanel.

Il film dell’attrice e regista Maïwenn,(nonché sua prima opera in costume) che ha aperto il 76° festival di Cannes 2023 è liberamente ispirato alla vita di Jeanne du Barry, l’ultima amante, favorita, di re Luigi XV, che fu una vera icona di stile, affascinante e carismatica.

Jeanne, figlia illegittima, figlia del popolo, usa il suo fascino, la sua bellezza, il suo carisma, la sua grazia e insomma tutte le armi della seduzione per uscire dalla sua condizione di povertà e tentare una scalata sociale in piena regola. Il suo amante, il conte di Barry, che diventa ricco in gran parte grazie ai suoi intrighi e incontri amorosi, desidera presentarla al re: organizza l’incontro tramite l’influente Duca di Richelieu nel 1768. Il risultato supera le sue aspettative: tra Luigi XV e Jeanne, è amore a prima vista, un vero colpo di fulmine.  Con la cortigiana il Re riscopre il gusto di vivere, tanto da non poter più fare a meno di lei e decide di renderla la sua favorita ufficiale, provocando uno scandalo. Nessuno vuole che una ragazza di strada si faccia una posizione a Corte.

Maïwenn ha affermato che la sua “ossessione” per Jeanne inizia con la visione al cinema nel 2006 di MARIE-ANTOINETTE di Sofia Coppola (storia in chiave pop che è ormai diventata un cult) quando rimane completamente affascinata dalla apparizione sullo schermo del personaggio, interpretato da Asia Argento, con il quale ha sentito subito una connessione per svariati motivi, comprese alcune somiglianze con la sua vita.

Subito si è praticamente innamorata di questa donna e ha sentito l’esigenza di realizzare un film completamente dedicato, desiderio cullato per ben dieci anni. Dopo aver acquisito più maturità, conoscenza cinematografica  ed esperienza nella regia, in particolare dopo le riprese del film Mon roi (2015, molto molto intenso, che vi consiglio) si è sentita capace di affrontare questa storia in costume, spinta ancora di più dalla fascinazione provata in seguito alla visione di  Barry Lyndon di Kubrick . Tra il 2016 e il 2019 si è dedicata così in modo rigoroso e quasi scolastico a scriverne la sceneggiatura, immergersi completamente nell’epoca, attraverso studi profondi sul secolo e su Jeanne, focalizzandosi su alcuni punti salienti e cercando di affrontare il difficile compito di realizzare un biopic classico amando nello stesso tempo tantissimo la protagonista: ha scelto infine di incentrare la storia sulla relazione tra Jeanne e Luigi XV, perché proprio questa situazione la conduce piano piano alla perdita. Una lettura che la ha colpita profondamente è stata la biografia dei fratelli Goncourt “Madame du Barry”, che ne danno un ritratto incriminatorio e profondamente ingiusto, mentre successivamente in altre epoche i suoi ritratti diventano man mano più elogiativi.

“Se ho scelto di focalizzare la storia sulla relazione tra Jeanne e Luigi XV, è perché è quella che l’ha portata alla sua caduta e perché tutto ciò che è seguito alla sua partenza da Versailles è stato il risultato diretto di quel periodo, da cui è uscita con un’etichetta che non l’avrebbe mai abbandonata: la prostituta del re. Ma sono convinta che non meritasse di essere ridotta così.” Maïwenn

Elisabeth-Louise Vigée-Lebrun, Madame du Barry,The Corcoran Gallery of Art @ Washington, 1782, olio su tela.

Proprio questo sguardo è ciò che rende la storia moderna e attuale, con echi diretti nel nostro presente: Cécile Berly, storica specializzata nella storia delle donne nel XVIII secolo, ricorda come la contessa du Barry si sta evolvendo in una società in cui le donne sono “invisibilizzate”, relegate al focolare domestico. Per loro non c’è posto nello spazio pubblico e quelle poche che si distinguono sono ancora delle “anomalie”, considerate spesso “femmes dénaturées”, “virago”, mostruosi femminili. Berly ha commentato il film affermando che lo sguardo della regista rende la du Barry non più solo la “creatura” dello scandalo, ma umanizza una donna che ha dovuto farlo, mostrando costantemente volontà, coraggio, determinazione: in un secolo in cui le donne non avevano accesso al potere politico, il conquistare il letto del re e vivere a Versailles, richiedeva delle abilità anche cerebrali e umane notevoli, come ha dimostrato  brillantemente anche la famosa Pompadour, favorita prima di Jeanne. Quest’ultima è educata, rispettosa delle convenzioni di Corte, anche se provocano in lei ilarità, è un’assidua lettrice, ha gusto per le arti ed è una mecenate attiva e raffinata, ha un sofisticato gusto nel vestirsi, valorizzarsi. In passato ha avuto una esperienza lavorativa da Labille, marchande de mode, grazie alla quale acquisisce una conoscenza molto puntuale dello stile, degli accessori e dell’eleganza. Prima ancora della regina Marie Antoniette, ha partecipato attivamente alla nascita della haute-couture, lanciando gli abiti liberati dagli ingombranti panier,  a righe (che lanciò lei come fantasia e che sarà in gran voga fino a fine secolo) o bianchi, con morbide piume e gioielli preziosissimi, che accumulava. Non amava il trucco pesante. Si camuffava spesso indossando pantaloni e cappotti: è stata la prima favorita a indossare la redingote in una occasione speciale e non  amava solo provocare ma soprattutto rivendicare la sua libertà.

photo credits Jeanne du Barry © STÉPHANIE BRANCHU – WHY NOT PRODUCTIONS

Ma addentriamoci più a fondo tra i magnifici costumi, tipici della moda francese settecentesca, composti di corsetti, panier, volant, sinuose tuniche e gioielli prestigiosi, cipria e trucco minuzioso (a cura di Tom Pecheux) e scenografiche parrucche e acconciature ideate da John Nollet: oltre al team di scenografi, truccatori e costumisti cinematografici sono stati coinvolti professionisti direttamente dal mondo della moda, per dare un contributo ancora più creativo e libero, all’insegna di una mentalità più aperta ed eclettica. Chanel è partner esclusivo del film, ha sostenuto la produzione, ha partecipato al trucco con gli specialisti di Chanel Beautè e in particolare ha appositamente realizzato sei costumi e moltissimi accessori grazie agli atelier dei Métiers d’art, i quali riuniscono centinaia di ricamatori, piumatori, gioiellieri, orafi, calzolai, cappellai, modiste, persino conciatori e con il know-how che perpetuano e reinventano, contribuiscono a rendere ogni creazione un pezzo eccezionale. I copricapo sono stati ideati e realizzati da Maison Michel, modisteria di alto artigianato dal 1936, membro dei Métiers dal 1997: pagliette, tricorni, velette e cappelli di vario stile sono stati tutti realizzati a mano secondo tecniche tradizionali, che si tramandano dal XIV secolo; i gioielli comprendono pezzi ricercatissimi, prestiti di alta gioielliera della Maison Goossens. Robert Goossens (1927-2016) è stato un gioielliere francese che ha affascinato Gabrielle in persona fin dal 1953, in particolare grazie alle sue creazioni di bijoux barocchi ispirati all’antichità e a Bisanzio, tanto da collaborare con la sarta anche per il design di interni del suo caro appartamento in Rue Cambon: oggi il marchio, in cui tutto è realizzato a mano, continua la sua minuziosa e preziosa attività di famiglia e la sua collaborazione speciale. Altra realtà che fa parte del gruppo è l’atelier Paloma, fondato nel 1982 e specialista della lavorazione del flou, nella creazione tessile, modellistica e assemblaggio e finiture in atelier, nei tessuti lavorati a mano conservando il tradizionale savoir faire e utilizzando diverse tecniche, tra cui il pizzo a scala, bordi smerlati, incrostazioni. Le plumassier  Lemarié (fondato nel 1880 da  Palmyre Coyette) è un laboratorio artigianato, eccellenza internazionale, specializzato in fiori e piume e nella couture in particolare per quanto riguarda intarsi, volant, punto smock e fa parte dei Métiers di Chanel dal 1996. 

                                 ©Le Pacte

Nata il 19 agosto come Chanel, ma in epoche completamente diverse, Jeanne era un’amante e mecenate delle arti, moda e cultura  e condivise con la sarta anche questo aspetto di difesa e tutela degli artigiani: gli abiti devono riflettere l’incredibile modernità di questa donna e sia la regista che il costumista erano interessati in particolare a evitare troppi orpelli, mantenendo l’eleganza ricercata e sofisticata del periodo e specifici riferimenti, ma senza caricare troppo; strizzando un occhio alla contemporaneità, ma senza “fare i voli” della costumista Milena Canonero, che interpretò la sartoria settecentesca con estro e glamour e che, con la complicità della Coppola, fece riporre anche le Converse, tra scarpette Manolo Blahnik, piume e macarons, nel guardaroba di una giovane Maria Antonietta: proprio per questa produzione vinse l’Oscar ai costumi nel 2007. I capi per la ricerca del guardaroba di Jeanne partono dunque da alcune collezioni degli anni ’80-’90 ispirate al XVIII secolo dai tessuti meravigliosi, collezioni haute couture disegnate da Karl Lagerfeld, per cui il secolo des Lumiéres fu una fonte inesauribile di ispirazione. Il costumista Jurgen Doering ha una formazione come fashion designer e ha lavorato per diverse case di moda come Yves Saint Laurent, Nina Ricci, Karl Lagerfeld e Guy Laroche e come costume designer aveva già collaborato con Chanel in altri film come Cloud of Sils Maria e Personal Shopper di Olivier Assayas, entrambi con l’attrice Kristen Stewart che del brand è testimonial.

Jeanne du Barry apre il Festival di Cannes: la storia e i segreti dei costumi firmati Chanel

Jeanne du Barry © STÉPHANIE BRANCHU – WHY NOT PRODUCTIONS

Con la complicità di Virginie Vard, attuale direttrice creativa del marchio, ha selezionato una decina di capi di archivio e poi rivisitato e modernizzato sei costumi, che sono stati creati appositamente per il film:uno spettacolare vestito in tweed ecrù enfatizzato da galon color avorio e indossato con una giacca corta coordinata (ispirato alla collezione di Haute couture fw 1992/93, indossato in passerella da Claudia Schiffer e ripreso da Dua Lipa al Met Gala 2023 in onore del Karl); un abito in velluto di seta lampone (ispirato alla haute couture SS2000) e una ariosa “robe aux volants”, abito a balze in organza blu cielo ispirato a una collezione del 1995, ma che mi ricorda moltissimo anche le ultime creazioni di Karl, per esempio l’abito rosa in tulle e rouches indossato da Lily Rose Depp nella sfilata delle collezione haute couture ss2017.  A seguire un abito panna con strascico e ricamato con piume ai polsini e collo, una sottoveste ecrù e nera e un voluminoso abito in raso di pelle color crema, mentre per altri look i costumi sono stati affittati o ricreati in laboratori specializzati, dando libero sfogo alla creatività e alla sua particolare reinterpretazione del secolo, con l’obiettivo di sfuggire alla mera copia.

I costumi Chanel nel film Jeanne du Barry a Cannes 2023

Robe de taffetas haute couture à traine blanc crème aux col, bas de robe et poignets en plumes réalisés per Lemarié, Chanel ©Le Pacte

Un film che è un trionfo dell’alta moda, dell’artigianalità e dell’eleganza, una storia che avvolge con un ritmo relativamente lento, non eccessivamente vincolato; una voce fuori campo che mantiene lo spirito del racconto evocato e srotola il filo della storia, con immagini molto ravvicinate ai dipinti settecenteschi: il lungometraggio è contraddistinto da pochi primi piani e da scene tagliate troppo rapidamente, girato in 35mm per creare un effetto di maggior grana, rendere i colori più aderenti alla realtà e una tensione più sontuosa, adatta alla ricostruzione storica (il direttore della fotografia è Laurent Dailland). Maiwen intreccia magicamente regia e recitazione e ha voluto al suo fianco anche Johnny Depp al suo ritorno sulle scene, che regala una interpretazione fatta essenzialmente di sguardi e silenzi eloquenti più di parole: ricorda vagamente il suo Edward Mani di Forbice o alcune movenze delle grandi star del cinema muto, alle quali conferma di essersi ispirato, come Lon Chaney, Buster Keaton, Charlie Chaplin, o Marlon Brando, il cui linguaggio del corpo era semplicemente unico.